I giovedì

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Milano – Oratorio della Parrocchia di San Siro, Beata Vergine Addolorata

È un quartiere a nord-ovest di Milano, a San Siro, noto per lo stadio, il calcio, i vip e gli appartamenti di lusso.

Dall’altra parte delle rotaie, l’edilizia, invece, popolare; nelle case di 40 metri o poco più vivono stipate famiglie anche con dieci o dodici figli.

Ottantacinque etnie censite, in prevalenza arabi da Egitto e Marocco e in maggioranza musulmani, circa l’80%.

“Noi cristiani qui siamo una minoranza”

afferma suor Grazia Pizzarello, ottant’anni di passione e vocazione all’incontro e all’educazione, che cerca il dialogo e la vita insieme in nome della fede».

Una volontà che si realizza all’interno dell’oratorio della parrocchia Beata Vergine Addolorata di San Siro a Milano. Dal 2019, tre pomeriggi a settimana – il martedì, il giovedì e il venerdì – dalle 15 alle 19.50, ospita ragazzi delle medie, dagli undici ai quattordici anni, al 90 per cento di fede musulmana. Il resto, cristiani. A guidarli, suor Grazia Pizzarello, l’educatore proféssionale MicheleOttonello, il parroco don Giovanni Castiglioni, l’imam di via Padova, Asta Mahmoud e una ventina di volontari. Per accedere al Villaggio genitori, educatori e ragazzi siglano a inizio anno un patto educativo.

Che cosa significa vivere insieme, cristiani e musulmani, senza tradire la duplice vocazione dell’oratorio di annunciare il Vangelo e prendersi cura di tutti?

La risposta l’ha data il nostro Arcivescovo Mario Delpini ad un ragazzo che gli chiedeva come fare oratorio dove alcuni pregano Gesù e tanti altri Allah.

Se la religione è un bandiera sotto cui ci schieriamo, saremo sempre due squadre contrapposte noi e loro, ma se la religione è un modo per diventare docili a Dio, allora diventeremo fratelli

Il giovedì è il giorno dell’«appuntamento con la fede», -spiega suor Grazia – «ben sapendo che il nostro è un oratorio cristiano con apertura alla fede musulmana. Un momento preceduto da un cerchio, tutti insieme, in cui condividere un tema, e poi gestito separatamente da Michele e dal parroco per i ragazzi cattolici, da me e dall’Imam – o la moglie o il genero, per i musulmani».

Il senso? «Avere un’identità totale della propria fede. I nostri adolescenti sentono il bisogno di un’appartenenza al 100 per cento. Vogliono capire fino in fondo il perché delle scelte». La prima a rispondere è proprio lei, suor Grazia, quando le chiedono perché porti il velo: «È la mano di Dio sulla testa, mi ricorda sempre di essere benedetta e protetta».