Milano – Collegio di via Quadronno
20-21 novembre 2008
1° Convegno di Formazione dei Consigli di Presidenza

Come un carisma identifica la scuola

“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di persone convinte ed impegnate non possa cambiare il mondo. Infatti sono le uniche ad averlo fatto” M. Mead

Intervento di Madre Maria Angela

Memorie e appartenenza

Sono lieta di accogliervi qui in Quadronno, una delle case storiche della Congregazione, voluta dal nostro Fondatore.

La scuola di Quadronno, che ha iniziato il primo anno scolastico nel novembre 1854 poco prima della proclamazione del dogma dell’Immacolata, è dedicata a Maria Immacolata. La costruzione è stata seguita dal Fondatore e dalla confondatrice, Madre Marina. Il Beato Biraghi amava molto questa casa e il suo affetto traspare dai piccoli particolari della costruzione, come possiamo leggere in una sua lettera: “Le benedizioni del Signore continuano sulla casa di Quadronno. Vedete: ho fatto con poco una bella compera per quella casa: 42 colonne di bellissimo granito. Esse sono nell’Orto Botanico di Brera ed ora sono mie”. (Itinerari biografici a Milano)

L’educazione

Siamo qui riuniti per riflettere sulla nostra missione educativa.

Ancora una volta siamo qui per dirci che educare è un atto creativo, è chiamare alla vita per far accettare e amare la vita. Educare è dare all’educando il suo nome cioè il senso della sua vita, è fargli scoprire chi è; è farsi prossimo dell’educando, è partecipare alla sua vita, condividerla con saggia complicità, spesso con compassione, è vivere insieme a lui le gioie e le sofferenze, è prima e soprattutto essere appassionati di umanità.

Chi ci ha riuniti qui?

Nella Prima Regola delle suore Marcelline, testo fondamentale della congregazione Luigi Biraghi ci dice il perché della fondazione e, quindi, anche il perché della nostra riunione di oggi: "Il fine pel quale venne istituita questa pia congregazione fu di ben educare le fanciulle, dalla cui cristiana e civile riuscita dipende in tanta parte il bene della Chiesa e dello Stato…" (1a reg.1853).

Oggi siamo qui riuniti per riflettere a questa missione, ma già eravamo tutti presenti nel progetto del Fondatore e nel grande progetto della Provvidenza, quando il Biraghi, in preghiera davanti alla Madonna Addolorata del santuario di Santa Maria in Cernusco, decise la fondazione delle Marcelline, e la decise dopo aver superato il timore delle:"difficoltà, delle tribolazioni, della responsabilità, e vinta la ritrosia e pigrizia sentì in lui un cuore nuovo, una volontà di ferro, una dolce sicurezza che la cosa piaceva a Dio e l’avrebbe benedetta" (Lettere 18.11.1875).

Rileggiamo le parole con cui il Beato Biraghi evoca il motivo che lo spinse a fondare la nostra Congregazione: "Provavo gran pena di si grave ed universale guasto di educazione: e con l’aiuto di Dio pensai come si potesse istituire un corpo religioso che unisse il metodo e la scienza voluti dai tempi e dalle leggi scolastiche e insieme lo spirito cristiano, le pratiche evangeliche" (Costituzione delle Suore Marcelline).

Notiamo subito questo sguardo del Biraghi sempre rivolto alla società in cui vive, sempre realisticamente attento a quanto lo circonda, sempre paternamente e maternamente vigile – i tratti di alcune lettere sono delicatamente materni - al bene della persona.

Il guasto che egli segnala indica una partecipazione personale dolorosa, una compassione per un male del suo tempo. Non si tratta, tuttavia, di una constatazione distaccata, teorica, ma di un’esperienza sofferta, di una preoccupazione vissuta e non solo per la persona singola, in questo caso la donna non aiutata da una formazione soda, (termine questo molto caro al fondatore) non aiutata dall’istruzione superficiale e inconsistente del tempo per cui restava una figura poco significativa e incisiva. Tale guasto viene segnalato anche per la società che viene a mancare di un elemento valido per il suo sviluppo.

Lo sguardo del Biraghi è dunque lo sguardo di un educatore che ha a cuore l’educando, ma l’educando nel suo contesto storico e sociale. In questo sentiamo tutta la forza del Biraghi come educatore, osserviamo che il suo impegno educativo non si rivolge solo all’educando, ma a tutto quello che lo circonda, la famiglia innanzi tutto e il contesto sociale nel quale la famiglia si colloca.

Passione educativa del Biraghi

Sentiamo nel Biraghi, nella sua sofferenza e nella sua forte, lucida visione del problema educativo la passione di fare bella la creatura umana e di fare bello il contesto in cui essa vive. Bello in che senso? Non è certo il momento di fare una lettura accurata delle sue lettere, dei suoi scritti, ma è evidente che bello é nel senso di vero, giusto, responsabile, libero, beato secondo le beatitudini evangeliche. È chiaro che, se così il Biraghi pensa le formande, tanto più così desidera i formatori e questo ci pone in atteggiamento personale continuo di verifica di noi stessi, formatori e formandi nel medesimo tempo.

Notiamo subito che lo sguardo del Biraghi sulla società e sulle giovani da istruire, al di là di alcuni tratti legati strettamente alla storia, é sempre attuale. I guasti, con caratteri differenti, si riproducono perché il cuore umano ha delle costanti che mutano nella forma, ma non nel contenuto; direi che si può sempre parlare di “emergenza educativa”. Questo grido ci è pervenuto, in questi ultimi tempi con insistenza: “Emergenza educativa, la sfida irrinunciabile” abbiamo sentito dire in un recente dibattito. L’emergenza educativa vi interpella ci ha detto Benedetto XVI, ugualmente si è espresso il Cardinale Bagnasco. L’anno scorso leggevamo: sorpresa dall’Unesco: “L’emergenza più seria ? Quella educativa”.

Spesso queste domande sfociano in una richiesta di attenzione all’educazione dei piccoli, dei più giovani, ma anche della donna. Per restare nel campo dell’Unesco, che abbiamo appena citato, il cardinal Grocholewsky, prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica, così ha affermato in quella sede “non è semplicemente questione di dotare i ragazzi di competenze, ma di farne degli uomini”; alla sua voce si è unita la voce di Jafaar Bin Hassan, presidente della conferenza dell’ Unesco , “il cuore delle madri, disse, è il primo libro dei figli”. Queste affermazioni non ci meravigliano, semmai ci sorprende piacevolmente l’attualità dello sguardo educativo di Monsignor Biraghi.

Sguardo, intuizione, chiamiamolo pure con il suo nome più forte, ma più vero: carisma, cioè dono, dono che il Beato Biraghi ha ricevuto dallo Spirito e ci ha trasmesso, talento che dobbiamo utilizzare per rendere più bella la porzione di società che ci è stata assegnata, il nostro “hic et nunc” in cui siamo chiamati a far crescere uomini e donne veri, capaci di migliorare, come ci chiede il Biraghi, la chiesa e la società.

Miglioramento della società del XIX secolo, miglioramento della società odierna con la preparazione di persone capaci di rispondere a se stesse, agli interrogativi della vita, agli altri e di farlo in modo personale grazie a un pensiero forte, alimentato da chi ha pensato prima di loro, da chi ha vissuto prima di loro. Pensiero alimentato da una cultura che permette di guardarsi intorno con ampiezza di vedute, che non si chiude in un proprio mondo bello, interessante, ricco di proposte, ma che non è il solo mondo esistente. Un pensiero alimentato da una cultura ben radicata nel passato, ben aperta sul presente, proiettata nel futuro. Una cultura che favorisce un pensiero libero, aperto alla verità e soprattutto un pensiero capace di critica, un pensiero coraggioso che desidera essere nell’oggettività, non nel personalismo e nell’individualismo, che non accetta di essere il pensiero anonimo di tutti.

La cultura dell’incarnazione

La cultura che il Fondatore ci chiede di trasmettere deve essere anche la cultura del quotidiano, del vissuto di tutti i giorni, la cultura dei piccoli gesti, la cultura dell’incontro, dell’ascolto, delle relazioni. Questo è il vivere con, questo è il metodo dell’incarnazione come l’ha definito il cardinal Martini.

Questo spirito di famiglia che anima il nostro carisma, è un profondo senso di appartenenza, il ché esige la conoscenza dell’ispirazione primaria, la conoscenza attenta, discreta della vita degli alunni, una conoscenza intelligente della realtà in cui viviamo e che, insieme, per uguale missione, dobbiamo migliorare.