S. Messa per gli Anniversari di Professione Religiosa
Duomo di Milano - 13 maggio 2006

Proseguite nel segno della speranza!

 

Hanno festeggiato i loro anniversari di professione religiosa:

70° di professione

1.

Sr Carla

Frigé

2.

Sr Elisa

Zanchi

3.

Sr Giuseppina

Molinari

4.

Sr Maria

Binaghi

5.

Sr Maria

Camisi

6.

Sr Emilia

Marchesi

7.

Sr Maria

Casiraghi

     

60° di professione

1.

Sr Paola

Viganò

2.

Sr Amabile

Rosani

3.

Sr Teresita

Casati

4.

Sr Carolina

Fumagalli

 

 

 

50° di professione

1.

Sr Lucia

Pelilli

2.

Sr Maria Teresa

Gualandris

3.

Sr Rosy

Merati

4.

Sr Adalgisa

Solazzo

5.

Sr Giuseppina

Trombetta

6.

Sr Maria

Dosso

7.

Sr Maria

Passoni

8.

Sr Mattia

Canito

9.

Sr Jolanda

Granelli

10.

Sr Fara

Avezzano

11.

Sr Antonietta

Spano

12.

Sr Dolores

Greco

13.

Sr Maria Rosaria

Pezzolla

 

 

 

25° di professione

1.

Sr Patrizia

Pepe

2.

Sr Rossella

Romaro

3.

Sr Manuela

Testoni

 

 

 

 

Omelia di Sua Eminenza il Card. Dionigi Tettamanzi

Carissime Religiose e Religiosi, membri degli Istituti Secolari e persone consacrate nel mondo, che avete accolto l’invito della Diocesi a celebrare insieme i Giubilei di professione o di dedicazione al Signore: siate i benvenuti a questa solenne Eucaristia, che presiedo volentieri e con particolare gioia proprio per voi!

La vostra vita di consacrazione a Dio e di servizio alla Chiesa

Nelle vostre persone vedo realizzata l’icona presente nel Vangelo di Matteo che abbiamo ora ascoltato (Matteo 26, 6-13).

L’episodio si colloca nell’imminenza della passione del Signore, tra la decisione dei sommi sacerdoti e degli anziani di catturare e uccidere Gesù e l’accordo di Giuda per consegnarlo a loro.

Proprio in questo contesto, la donna, che l’Evangelista non nomina, compie un gesto molto significativo: quello di versare sul capo di Gesù olio profumato molto prezioso. E così la donna riconosce nel Signore Gesù la pienezza, anzi l’essenza stessa dell’amore – come il profumo è l’“essenza” del fiore – e coglie, come afferma il Cantico dei Cantici, che il suo nome, ossia la sua realtà profonda, è di essere “profumo effuso” (cfr. Cantico dei Cantici 1, 2). In tal modo, la donna non solo rende onore a Gesù con questo olio «molto prezioso», ma gli vuole esprimere la qualità del suo amore di ammirazione e di gratitudine, un amore che segnerà probabilmente tutta la sua vita successiva.

Allo stesso modo voi, carissimi sorelle e fratelli, nel vostro cammino di fede, avete scoperto l’amore di Dio per l’uomo, un amore che – come ha scritto il papa Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est –, nella morte in croce di Gesù, si manifesta «nella sua forma più radicale», come compimento di «quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo» (n. 12). Sì, voi avete contemplato questa totale dedizione d’amore che ha raggiunto il suo vertice insuperabile in Gesù crocifisso e, ispirati dallo stesso Spirito di Cristo, avete scelto di donare “il tutto” di voi stessi – la libertà, l’affetto, le doti, le energie, l’intera esistenza – in modo esclusivo e definitivo al Signore Gesù!

C’è un particolare dell’evangelista Matteo che merita di essere sottolineato: quello dell’olio profumato che viene versato, non sui piedi, ma sul capo di Gesù. Questo dice che la donna riconosce in Gesù la sua “identità” di Messia, cioè di profeta-sacerdote-re, secondo le ripetute e luminose affermazioni delle Sacre Scritture. Il gesto della donna viene interpretato dal Signore in riferimento alla sua morte: «Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura» (v. 12). In realtà, è proprio nella passione e nella morte, nella sua piena donazione sulla croce, che Gesù porta a compimento supremo il suo essere profeta-sacerdote-re. Sulla croce, infatti, mediante il sacrificio di se stesso, Gesù è il profeta che rivela a tutti il vero volto di Dio, che è Amore, è il sacerdote che rende culto perfetto al Padre e offre piena salvezza all’uomo, è il re, che con umile amore si fa servo dell’umanità per donarle la vera libertà.

Sappiamo che ogni battezzato, per un dono totalmente gratuito, viene configurato a Gesù e reso in qualche modo partecipe delle prerogative di Cristo profeta-sacerdote-re e in tal modo prolunga la sua missione nella Chiesa. Di qui i carismi, i doni e i compiti più diversi di cui sono arricchiti tutti i fedeli. In questo senso, voi tutti, persone consacrate, avete ricevuto non solo la grazia di scegliere Gesù come termine vivo del vostro amore – un amore da vivere “con cuore indiviso” –, ma anche il dono e la responsabilità di continuare la missione di Cristo nella sua Chiesa, e di continuarla secondo il vostro specifico carisma di consacrati.

Rivediamo – la potremmo chiamare così – questa “foto” che il Concilio ha scattato per mostrare a tutta la Chiesa il compito profetico dei religiosi a servizio della Chiesa e dell’umanità: «I religiosi pongano ogni cura, affinché per loro mezzo la Chiesa, ogni giorno, meglio presenti Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre egli contempla sul monte, o annunzia il regno di Dio alle folle, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato» (Lumen gentium, n. 46).

Come si vede, qui in sintesi viene indicata la singolare ricchezza della vostra testimonianza e del vostro servizio ai fratelli dentro la comunità cristiana e la società: una ricchezza spirituale, pastorale e umana quanto mai estesa, profonda, dalle più varie forme, secondo quella fantasia carismatica che i vostri fondatori e fondatrici hanno suscitato e che voi ora, con intelligenza d’amore, andate concretizzando nel vostro operare nei rispettivi Istituti e realtà di vita.

Una storia di prolungata fedeltà

Ma oggi siamo qui a celebrare la realizzazione dell’icona della donna evangelica che versa l’olio profumato lungo l’arco della vostra vita: e dunque nel tempo, nella continua fedeltà alla vocazione e alla missione ricevute e nella costanza degli anni trascorsi dall’inizio, dalla promessa!

Mi piacerebbe raggiungervi a uno a uno e, quasi in un grande abbraccio, poter misurare questa straordinaria e bellissima durata di tutti i “sì” che avete detto al Signore e di tutto il loro contenuto, ossia il vostro pregare e operare nella Chiesa. So di un bel numero di venticinquesimi, di cinquantesimi, anche di diversi sessantesimi e settantesimi di professione. Questi ultimi forse non saranno qui, ma complimenti e auguri vivissimi!

Non vorrei però escludere nessuno da questo abbraccio: né chi è assente, per così dire, “costituzionalmente”, ossia le nostre sorelle delle diciassette Clausure femminili della Diocesi; né coloro che la scelta del sabato mattino ha messo in difficoltà o per il ministero o per la scuola o per altro ancora. Soprattutto non voglio dimenticare gli anziani, i malati e gli impossibilitati a muoversi…: tutti costoro, come primi, devono sentire la nostra vicinanza affettuosa e riconoscente, la mia e la vostra e quella dell’intera Diocesi.

Da questo sguardo riassuntivo possiamo immediatamente accorgerci e rallegrarci di quanta e di quale ricchezza di grazia e insieme di risposta al Signore e di amore per gli uomini questi giubilei sono ripieni. Davvero un tesoro spirituale immenso!

Il “grazie” gioioso

Come ci insegna la pagina del Siracide (51, 12-20), tutto questo tesoro di vita – che possiamo chiamare con la parola biblica “sapienza” – non è solo frutto del nostro impegno personale, ma è anzitutto dono di Dio e del suo amore.

Facciamo allora eco all’autore ispirato e al suo sentimento di gratitudine e di gioia con le sue stesse parole: «Ti ringrazierò e ti loderò, benedirò il nome del Signore… renderò gloria a chi mi ha concesso la sapienza» (vv. 12. 17). Sì, al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo vada il vostro e nostro rendimento di grazie, la vostra e nostra lode gioiosa!

E, con il Signore, è certamente questo il momento per ricordare anche chi vi ha donato la vita, vi ha messo sulla strada della fede, vi ha aiutato e accompagnato nell’accogliere con gioia la vostra scelta di vita dedicata a Dio.

Insieme alla famiglia, vi tornano alla mente la comunità parrocchiale, i sacerdoti e le religiose che hanno coltivato la vostra crescita nella vita dello Spirito, aiutandovi a scoprire e incoraggiandovi a seguire la vostra vocazione. Forse vi sarà dato di ritornare nelle città e nei paesi di origine per celebrare anche là il vostro giubileo. È bello! Ed è giusto che sia così!

Il “grazie” si estende anche ai vostri Istituti, agli educatori ed educatrici, ai superiori e alle comunità e realtà cui siete stati inviati: anche queste, alle quali avete dato e dalle quali insieme avete ricevuto, partecipano in qualche modo alla festa.

Ma il “grazie” è soprattutto per voi. Sentitelo dal vostro Vescovo, non solo a nome mio ma anche di tutta la Chiesa ambrosiana e delle altre comunità ecclesiali nelle quali avete trascorso il vostro tempo, trasfondendo la luce e l’amore della testimonianza e dell’apostolato. Vi chiedo di sentire, nella mia, la voce stessa del Signore che vi vuole dire, ancora una volta, il suo amore di predilezione, che gioisce per le meraviglie in voi operate e che insieme sa comprendere le fatiche del dialogo d’amore che vi lega a lui. Questo mio “grazie” affettuoso e incoraggiante sia segno e presagio di tutti i beni che il Signore prepara a “coloro che lo amano”.

Con rinnovata disponibilità e speranza

Proprio perché sono dono di amore la chiamata, la risposta e l’esperienza bella di questa vostra vita, la celebrazione di questi traguardi giubilari non può non comprendere anche il “sì” nei riguardi del futuro che vi attende, come tra poco confermerete nella Preghiera di Ringraziamento.

È vero anche per voi, carissimi sorelle e fratelli, quanto esclama con umiltà e insieme con fierezza san Paolo quando viene messo in questione il suo servizio al Vangelo, un servizio gratuito, senza pretese, neanche della pur giusta ricompensa. «Non è per me – scrive ai Corinzi – un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo» (1 Corinzi 9, 16-18).

Dunque: proseguite! Proseguite con coraggiosa intensità, proseguite nel segno di una speranza che non crolla mai.

Qui ci viene in aiuto la Prima Lettera di Pietro, con il suo forte appello alla speranza (1 Pietro 1, 18-25).

Siamo stati salvati, ci dice Pietro, non da cose di poco conto – fossero pure l’argento e l’oro – o che sono corruttibili e finiscono, ma dal «sangue prezioso di Cristo» (v. 19), ossia da quella donazione di sé fino alla fine, nell’abbandono fiducioso al Padre e per amore dell’uomo, che gli ha ottenuto la risurrezione, la gloria e la forza di attrarre tutti noi, già ora, nella sua stessa realtà di vita. Certa allora è la salvezza e sicura la possibilità di rinnovare radicalmente noi stessi e il mondo: «Così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio» (v. 21).

Sappiamo che la Lettera di Pietro – scelta come testo biblico di riferimento nel cammino delle Chiese in Italia verso il Convegno di Verona – è stata scritta per i cristiani che si trovavano in una situazione di difficoltà, anzi di persecuzione. Ora la “Traccia di riflessione” in preparazione al Convegno pone al primo posto, tra le profezie di futuro per il nostro tempo, la vita consacrata (cfr. n. 10). Dunque la vostra vita, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, può e deve dire, in maniera sempre nuova, che cosa, anzi chi attendiamo nella speranza, ossia nella certezza che tutto – proprio tutto – in Gesù risorto può divenire segno, germe, primizia del Regno di Dio che viene.

A questo proposito, la Lettera di Pietro ci suggerisce due orientamenti particolari, che possono essere utili proprio per la vostra scelta rinnovata di consacrazione.

In primo luogo il sincero amore fraterno: «amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (v. 22). Potremmo dire: la spiritualità di comunione, la vita comunitaria. È uno dei cardini della esemplarità e della forza evangelica proprie della vita religiosa: un impegno certamente difficile, ma possibile a quanti sono stati «rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» (v. 23). La luce della Parola e la forza dei Sacramenti diverranno in voi sorgente viva, fresca e zampillante di amore sincero e di comunione profonda.

E la vostra testimonianza di comunione può fare da traino per la Diocesi intera, per le comunità parrocchiali, per le famiglie: per quella “qualità umana” delle relazioni e per quella valorizzazione della personalità di ciascuno e insieme della diversità e complementarietà di doni, carismi, compiti e responsabilità che ci siamo proposti di curare in modo particolare in questo terzo anno del Percorso pastorale diocesano Mi sarete testimoni e che fa parte delle condizioni fondanti anche per la “nuova strategia pastorale” cui siamo chiamati dallo Spirito, come Chiesa ambrosiana (cfr. D. TETTAMANZI, Preti missionari per una rinnovata pastorale d’insieme. Omelia nella Messa crismale del Giovedì Santo 2006, Centro Ambrosiano, Milano, 2006).

In secondo luogo, la Lettera di Pietro ci ricorda la nostra nativa “fragilità” ricorrendo a questa immagine suggestiva: «Tutti i mortali sono come l’erba e ogni loro splendore è come fiore d’erba. L’erba inaridisce, i fiori cadono» (v. 24). Subito però, nel segno del contrasto, l’Apostolo afferma: «ma la parola del Signore rimane in eterno» (v. 25).

L’immagine dell’erba che inaridisce e dei fiori che cadono ci rimanda alle diverse forme di fragilità che ci possono colpire. Pensiamo alla debolezza della salute, che si fa sentire facilmente per chi celebra i giubilei d’oro e oltre. Pensiamo alle nuove situazioni di disagio legate alla diminuzione numerica, alla scarsità di nuove vocazioni, all’abbandono obbligato di opere e di iniziative che le Congregazioni e gli Istituti sempre più sperimentano.

Il “sì” rinnovato al Signore e alla sua Chiesa deve misurarsi anche con queste forme di povertà e di disagio. Non vengano meno la fiducia, il coraggio, la certezza che il Padre non ci abbandona, ma ci conduce a purificare e a rafforzare la nostra speranza. Anche così allora potremo offrire una preziosa testimonianza a tanti nostri fratelli e sorelle che nella vita d’ogni giorno sperimentano e soffrono le più diverse forme di fragilità!

O Maria, madre di Gesù e della Chiesa, che con il tuo “sì” detto nel segreto del cuore hai reso possibile l’irrompere della speranza nella storia, donaci di essere fedeli alla vocazione ricevuta e di proseguire con generosità il nostro cammino spirituale e il nostro servizio alla Chiesa: nel segno di una profonda gioia interiore e di una grande speranza in Cristo risorto e vivo, tuo figlio e nostro fratello e salvatore. Amen.

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano