Relazione di Antonietta Rizzi

Serata di grande gioia giovedì 23 marzo presso la Sala Convegni AMGAS. Le Suore Marcelline hanno offerto alla comunità foggiana un incontro per presentare la figura di Mons. Luigi Biraghi, loro fondatore, che sarà proclamato beato nel Duomo di Milano il 30 aprile prossimo.

Dopo il saluto caloroso della Superiora Suor Vita Trizza, Mons. Buzzi della Biblioteca Ambrosiana ha tratteggiato con incisiva semplicità il carisma di Mons. Biraghi evidenziandone la modernità e l’attualità.

Il Prof. Claudio Sottile, Assessore alle politiche scolastiche, ha dato testimonianza di quanto le suore Marcelline abbiano trasmesso – ormai a generazioni di ragazze e ragazze – non solo istruzione e cultura, ma formazione complessiva e preparazione alla vita.

La Dirigente Scolastica Adriana Ravviso, in qualità di ex allieva, ha con tenerezza ricordato suore e compagne e l’atmosfera di serenità familiare che si respirava in Istituto.
La serata si è conclusa con una breve esibizione del coro di voci bianche ”Umberto Giordano” diretto dal Maestro Luciano Fiore, anche lui marcellino.

La sala era gremita e motivata: bambini, ragazzi, papà, mamme, nonni, professori, amici, tutti stretti intorno alle suore a testimoniare affetto e riconoscenza profonda per avere con amore e dedizione messo in pratica, quotidianamente, gli insegnamenti di Mons. Biraghi.

L’augurio di tutti, come hanno espresso bene le parole di Mons. Mario Paciello, è che le Marcelline, sotto la protezione di Mons. Biraghi, possano continuare ad essere un punto di riferimento, una certezza, una garanzia di impegno e presenza nel nostro territorio.

 

Intervento di Mons. FRANCO BUZZI
Dottore della Biblioteca Ambrosiana

Buona sera a tutti, cari amici di Foggia.

Vi chiederete come mai, da Milano, sia venuto qui a parlarvi.
Innanzi tutto vi confido che sono venuto con grande gioia. A Foggia sono venuto anche per i motivi che or ora ha ricordato la carissima Sr.Vita, superiora dell’Istituto delle Marcelline in questa città.
Ricordo sempre con grande commozione il momento in cui, passando dal mio insegnamento in seminario, raggiunsi Milano e fui accolto nell’Istituto di piazza Tommaseo, dove insegnai filosofia e religione per qualche anno. E però, allora, non sospettavo minimamente che, andando avanti nel tempo, avrei avuto un motivo ancor più grande per affezionarmi alle Marcelline. Infatti, quando entrai a far parte del Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana, fondata nel 1603 dal Card. Federico, io ebbi la fortuna e la sorpresa di scoprire che il fondatore delle Marcelline, presso le quali ero stato insegnante, aveva fatto parte, nel 1855, del Collegio dei Dottori dell’Ambrosiana; risultava essere, perciò, mio collega tra coloro che mi avevano preceduto in quella stessa situazione, in quello stesso tipo di lavoro e di missione culturale. Sono rimasto perciò particolarmente affezionato alle Marcelline. Tutte le volte che mi chiedono di fare un intervento sul loro grande fondatore, mons. Luigi Biraghi, non posso esimermi dall’essere presente e dal dire con gioia quello che posso a proposito di questo grande studioso, e oggi dobbiamo aggiungere, di questo santo.
Nel Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana abbiamo la fortuna di aver avuto un papa, Pio XI, Achille Ratti; egli fu prima dottore, poi prefetto nella nostra biblioteca, quindi prefetto della Biblioteca Vaticana ed in seguito, per qualche mese, arcivescovo di Milano; infine divenne Papa con il nome di Pio XI. Ma dal 30 aprile prossimo potremo dire che nel nostro Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana, non solo abbiamo avuto un papa, ma anche un santo, che è la cosa più bella, forse più grande che si possa desiderare in questa vita. Essere santi, appunto, come Dio ci vuole.
Ma chi è mons. Luigi Biraghi?
E’ nato nel 1801 ed è morto nel 1879. La sua vita, grosso modo, si divide in due grandi momenti. Il momento antecedente la sua nomina a Dottore dell’Ambrosiana (1855) e quello successivo che va fino all’anno della sua morte, nel 1879.
La prima parte della sua vita si svolse a seguire con grande entusiasmo il carisma che il Signore gli aveva dato, quello di essere un educatore. Questo carisma egli lo espresse in due campi diversi: il seminario e la congregazione delle Suore Marcelline.
Entrato in seminario all’età di 12 anni, frequentò i normali studi di umanità, di filosofia, di teologia fino al 1824-25, anno in cui fu ordinato diacono; già subito ebbe l’incarico di insegnare greco nel seminario minore ubicato a Monza. Successivamente venne incaricato dall’Arcivescovo ad essere direttore spirituale dei chierici maggiori (quelli che frequentano ormai gli studi teologici). Suo compito fu dunque quello di accompagnareal sacerdozio coloro che nel seminario di Milano si preparavano a diventare parroci, coadiutori, annunciatori della Parola di Dio. Il Biraghi prese sul serio questa sua missione di educatore del clero milanese, ossia di formatore di sacerdoti. Davvero si mostrò un uomo serio in questo suo incarico, ma un uomo che non incuteva paura, perché - si sa - il padre spirituale deve avere la grande dote dell’ affabilità e della paternità nei confronti delle persone che gli sono affidate per la crescita al sacerdozio.
I principi del suo insegnamento e della sua educazione presso i chierici maggiori sono sostanzialmente i seguenti.
Innanzitutto la “bonitas excellens” . Non è sufficiente per chi vuole diventare prete essere dotato di una bontà qualsiasi (bonitas qualiscumque). Occorre che il presbitero sia dotato di una bonitas excellens , di una bontà eccezionale, straordinaria, eccellente. Egli deve diventare buono come è stato buono il buon Pastore. Deve, in altre parole, essere radicalmente preso dalla bontà, dalla volontà di bene nei confronti delle persone alle quali sarà mandato.
Per ottenere questo è necessario un certo esercizio ascetico. Il Biraghi ha insistito parecchio sulla necessità formativa del superamento dei propri istinti per arrivare al dominio di sé, frutto, non semplicemente di un’eccellente facoltà intellettiva che subordina tutto ciò che fa parte della nostra umanità, ma risultato della capacità di dominare se stessi in forza dell’ideale che il Signore ha messo in cuore. Le motivazioni della ragione e della fede rendono una personalità capace, non solo di governare se stessa, ma anche di darsi, di offrirsi, di essere per gli altri, in modo responsabile ed equilibrato. Il Biraghi sapeva molto bene che dalla repressione conseguono soltanto danni, mentre dall’esercizio continuo della virtù e dalla sublimazione delle proprie energie deriva una vera e propria padronanza di sé, un carattere forte che rende in grado di essere veramente responsabili all’interno della Comunità.
Ma questo esercizio per così dire ascetico, umano e cristiano insieme, non era finalizzato a se stesso.
Nella terza tappa voluta dal Braghi, gli aspiranti al sacerdozio dovevano riuscire ad attingere anche a qualche elemento della mistica, ciò a quella contemplazione disinteressata dei misteri di Dio, grazie ai quali si diventa partecipi pienamente, col cuore e con la mente, della rivelazione che Dio ci ha dato in Gesù Cristo. Per questo egli affermava che chi non ama Gesù Cristo in una maniera straordinaria ed eccezionale, non può ritenersi degno di diventare un pastore all’interno della Comunità. Amare Gesù Cristo! E in questo si appellava, naturalmente, al Vangelo, quando il Signore chiese a Pietro se veramente lo amasse; per tre volte di seguito glielo chiese: “mi ami tu? Mi ami tu più di costoro?”
Ecco, facendo leva su questo brano del Vangelo di Giovanni egli afferma con forza che se non c’è una gara nell’amare Gesù Cristo, se non si ama in maniera eccezionale e straordinaria, è difficile poter diventare pastore all’interno della Chiesa.
Un quarto elemento della formazione dei seminaristi maggiori è determinato dalla sua passione per le missioni. C’è un tratto tipico nella spiritualità del Biraghi : il prete non è mai per una singola comunità, per una singola chiesa, ma è per tutti. Egli è ordinato per un ministero che riguarda la totalità della Chiesa, anche se poi il ministero si realizza in una diocesi particolare. E da questo punto di vista egli stesso più volte fece il tentativo di iniziare, all’interno della diocesi, qualche cosa di significativo quanto alla missionarietà del sacerdote. Per esempio, aveva chiesto al suo arcivescovo Gaetano Gaysruk (a Milano abbiamo avuto sotto la dominazione asburgica un vescovo austriaco) di poter organizzare una scuola particolare, un istituto, per i preti che si sarebbero dedicati alle missioni, alla predicazione all’interno della città, ma senza limitare tale formazione soltanto alle predicazioni cittadine. Ovviamente in fondo al cuore del Biraghi stava la speranza che poi, magari, qualcuno di lì sarebbe anche partito e sarebbe andato nel mondo ad annunciare il Vangelo. Gaysruk ebbe qualche perplessità e gli chiese di non insistere su questo punto e il Biraghi, sempre con grande modestia, mise da parte questo bellissimo progetto. L’idea gli ritornò, poi, con l’arcivescovo successivo, il Romilli, al quale ugualmente egli chiese di organizzare qualcosa per le missioni. La questione andò più facilmente in porto allora perché già all’interno della Chiesa si pensava di costituire le missioni per il mondo intero, si pensava alla costituzione del PIME, cosa alla quale il Biraghi stesso fu molto presente, perché in contatto strettissimo con Angelo Ramazzotti, prete milanese, fondatore dell’Istituto del PIME.
Anche questo Angelo Ramazzotti era un bel tipo! A Pavia, attraverso lo studio della giurisprudenza, era diventato avvocato; aveva esercitato per due anni la sua professione in studi importanti, a Milano e poi aveva deciso di farsi prete. Il Ramazzotti, però, coltivò sempre, fin dalle origini del suo sacerdozio, la passione per le missioni e, insieme al Biraghi, riuscirono a fondare a Saronno nel 1850 l’Istituto del PIME. Ugualmente questa passione missionaria investe il secondo rettore del PIME Giuseppe Marinoni che fu seminarista del Biraghi – per quattro anni lo ebbe come chierico nel seminario maggiore e lo accompagnò al sacerdozio. Il Marinoni diventato sacerdote, fu assegnato al seminario per l’insegnamento delle lettere, come normalmente accadeva, ma egli non ne era contento. Anche in questo caso si vede la capacità del Biraghi come educatore e direttore spirituale. Marinoni era una personalità complessa, ricchissima, non si accontentava di poco…Dopo aver fatto un anno di insegnamento aspirava ad una vita più attiva e insieme intellettuale e perciò bussò alla porta dei Gesuiti. Entrò e fece un anno di noviziato. Presto capì che non era quella la sua strada e che il Signore lo chiamava ad una vita più contemplativa. Allora chiese di poter entrare presso i Cistercensi e di farsi monaco. Essendogli stata sbarrata anche questa strada, pensò di avvicinarsi all’opera di Don Pallotti – Vincenzo Pallotti , un altro santo, un altro gigante dell’800. Pallotti, romano, diventato sacerdote in quella diocesi, dopo essersi diplomato in lingue moderne e antiche e aver superato anche gli studi di tipo filosofico e teologico fino alla laurea in filosofia e teologia, si dedicò poi ai più poveri nei sobborghi di Roma, insegnando il catechismo e organizzando opere di carità. Personaggio veramente carismatico, strano anche per tanti motivi, ma di quella stranezza che s’identifica con una santità eccezionale. Qualche signora di Roma si decise a compiere opere buone, a collaborare con lui in fondazioni di carità dopo averlo visto passeggiare sotto l’acqua, completamente asciutto. La gente di Roma lo conosceva così, con queste sue stranezze. Si dice che una volta o due, per zelo apostolico, si sia travestito da donna per avvicinare qualche peccatore impenitente che non voleva convertirsi in punto di morte. Personalità straordinaria!
Torniamo al nostro Giuseppe Marinoni. Marinoni - lo avete capito - nel giro di quattro, cinque anni cambia progetto e non riesce a star dietro all’iniziativa dello Spirito che parla dentro di lui. Che cosa deve fare un direttore spirituale? Non può mai imporre la sua volontà alla volontà dell’altro e alla volontà di Dio che si rivela nei segni di vocazione, per quanto incerti possano apparire. Dio non accetta di essere preceduto nella sua manifestazione, in quei segni in cui si rende presente per orientare la vita di qualcuno a seguire una vocazione particolare. Capite la complessità? Il Biraghi ha conosciuto tutto questo come direttore spirituale.
Ad un certo punto, nel 1848, per delle questioni politiche, venne a trovarsi in difficoltà; i tempi erano veramente critici! Proprio in quell’anno avvennero le famose cinque giornate di Milano alle quali, tra l’altro, presero parte, costruendo barricate, pure i seminaristi. Da quel momento in poi il Governo Austriaco segnò a dito, per così dire, la figura del Biraghi che risultava responsabile della formazione dei seminaristi e gli impedì qualsiasi tipo di carriera. Più volte lo stesso arcivescovo Romilli lo aveva proposto come canonico del Duomo, ma la cosa non gli riuscì. Anzi, nel 1853 il Biraghi dovette di persona presentarsi a Vienna per difendere la sua causa e giustificare il proprio comportamento. Tornò a casa con l’illusione di essere stato ascoltato; in realtà non riuscì ad ottenere nessuna possibilità di avanzamento. Infine l’Arcivescovo lo propose come dottore dell’Ambrosiana. Non era un luogo particolarmente in vista. Si sa che i dottori devono innanzitutto studiare e poi coltivare i loro campi di apostolato. Lo studio al quale essi si dedicano, in un certo senso, li estranea dalla vita pubblica e non consente loro una presenza molto incisiva all’interno della Comunità o delle Comunità cristiane. Il Biraghi accettò di venire all’Ambrosiana, ma nel 1855 egli aveva già dato forma al secondo ramo della sua attività apostolica di educatore: la congregazione delle suore Marcelline.
Nel 1837, venendo a conoscere una ragazza, Marina, poi Suor Marina Videmari, ebbe l’idea, in vista della crescita delle comunità cristiane, di formare la donna. Egli la voleva in grado di inserirsi in maniera più attiva e riconosciuta all’interno della società. Nacquero, nella mente del Biraghi, le Marcelline, le Suore Marcelline. Nessuna idea di fondare un ordine monastico. Allora le ragazze di buona famiglia, soprattutto del ceto aristocratico, frequentavano i monasteri per ottenere un’istruzione privilegiata rispetto al gran numero delle altre ragazze. Egli ebbe l’idea di fondare una congregazione femminile di vergini consacrate all’educazione delle fanciulle di condizione civile, come allora si diceva, cioè di quelle fanciulle appartenenti ad una classe sociale intermedia tra la nobiltà e il proletariato, fatta di borghesi, di commercianti, di professionisti: notai, medici, avvocati, ecc. ecc. In realtà, grande fu la luce che egli ebbe nel creare questo Istituto. Volle innanzitutto che quelle che avrebbero dovuto essere educatrici non si improvvisassero tali, ma seguissero dei corsi, tutti quelli necessari: dalle scuole medie secondarie fino all’università, fino alla laurea, in modo che esse potessero disporre di un diploma che consentisse loro di offrire, attraverso le loro scuole riconosciute dallo Stato, titoli validi per tutti coloro che frequentavano i loro istituti. Così avvenne, ma questo poté avvenire anche perché il Biraghi ormai sapeva, alla luce della storia che insegna, – la storia insegna sempre! (Qualcuno dice: “Ma che cosa insegna la storia? La storia non insegna nulla”. Sì, non insegna nulla a chi non la sa o a chi la studia troppo poco. La storia insegna sempre!) Allora alla luce della storia che il Biraghi conosceva bene, egli volle, attraverso tutti i riconoscimenti da parte dello Stato, garantire le sue istituzioni contro quella manovra sempre pronta, quando interviene un momento di secolarizzazione e di laicismo che consiste nella confisca dei beni e nella soppressione degli ordini religiosi. Con questo mise in salvo le sue opere da questo pericolo e diede alle sue suore l’opportunità e la possibilità di essere incisive, in maniera stabile, nel contesto sociale del suo tempo.
Nacquero così i grandi collegi. Il primo a Cernusco sul Naviglio, poi a Vimercate, dopo a Milano in via Quadronno, poi ancora a Genova, ed in seguito a Chambéry. Insomma, il Biraghi si diede da fare!. C’era già in lui quest’attenzione al mondo intero. Ho parlato prima del suo spirito missionario. Questa stessa tensione di portare l’educazione attraverso la donna ben formata ed educata egli la voleva diffusa in tutto il mondo.
Importante il metodo che egli ha scelto per le sue suore educatrici. Il ramo femminile accanto al ramo maschile – i sacerdoti – doveva funzionare secondo la logica della partecipazione, della vicinanza e secondo la logica di una grande apertura ai problemi del tempo. In effetti, non avendo scelto di fondare un ordine monastico claustrale, ma una congregazione di persone formate per la vita attiva, che sapessero trasmettere anche il gusto della preghiera e della contemplazione, egli volle che le sue suore partecipassero alla vita delle alunne. Questo era un tratto tipico e sbalorditivo per quelle alunne che non avevano nessuna esperienza di questo tipo. Ciò significava che le suore dovevano essere le prime educatrici, quasi delle educatrici domestiche, quasi fossero loro stesse, per le loro alunne, delle mamme che le accompagnassero e le introducessero alla vita pubblica con la loro profonda formazione culturale.
Certo, l’ideale di donna del tempo del Biraghi era quello consueto. Si pensava alla donna buona sposa, buona madre di famiglia, un po’ relegata nella sua casa, e tuttavia proprio nel primo Ottocento, si faceva strada una nuova sensibilità nel concepire la presenza della donna all’interno della società. A questo appunto il Biraghi fu attento e chiese sempre alle sue suore di aprirsi al mondo culturale, alle innovazioni; domandò loro di approfondire in maniera scientifica e rigorosa tutto quello che il sapere poteva mettere a loro disposizione. Tutto questo può e deve servire in ogni caso alla buona causa di annunciare Gesù Cristo e di formare in maniera cristiana le donne che poi si inseriranno nella società.
Io ho detto qualcosa. Non voglio aggiungere molto altro anche perché dopo di me devono parlare persone ancor più importanti, ma è chiaro che, dal quadro che ho fatto, sono emersi questi due interessi educativi: la formazione del prete e la formazione della donna. La formazione della donna mediata dalla formazione di quelle che dovranno essere formatrici, vale a dire, le Suore Marcelline. E tutto questo in un contesto di apertura mondiale.
Voglio terminare ricordando che le Marcelline oggi sono presenti non soltanto in Italia, in molti punti della nostra penisola, ma hanno aperto case anche in Svizzera, in Inghilterra, in Francia, in Albania, in Canada, in Messico, in Brasile e ora hanno in progetto di aprirne una in Africa, nel Bénin; insomma è un vero e proprio movimento missionario mondiale, il che corrisponde in tutto e per tutto al carisma educativo del loro Fondatore.
Concludendo: vorrei dire a voi, cari amici di Foggia, “amate le vostre Marcelline!”. Lo avete già dimostrato in mille modi, in tante circostanze, durante più di cento anni di vita che avete condiviso con loro. Generazioni e generazioni ormai sono uscite dalle Marcelline – avremo questa sera una testimonianza diretta della presidente, vero? Io dico “amate le vostre Marcelline” perché le vostre Marcelline vi hanno sempre amato e sempre vi ameranno. Ecco, da questa comunione di spirito nascono le cose più belle. Ho avuto la stessa esperienza parlando ad Arona, sul lago Maggiore, il lago dei Borromeo, dell’Isola dei Pescatori, dell’Isola Bella, ecc. Arona, Stresa, luoghi anche rosminiani! Ebbene, ad Arona le suore hanno un altro collegio, un’altra casa; pure lì la gente ha lottato per avere sempre con sé la presenza delle Marcelline. Da quel collegio sono uscite persone che nella vita si sono inserite anche a livelli molto importanti, con responsabilità pubbliche e civili: sindaci, assessori, ecc, imprenditori industriali, donne che hanno saputo fare tutto questo e che considerano la formazione ricevuta in quegli ambienti come qualcosa di assolutamente caro e che non si deve in nessun modo lasciar cadere.
Salutandovi, vorrei che le mie parole rimanessero un po’ nel vostro cuore e vi dico: cari amici di Foggia, continuate ad amare le vostre Marcelline. A loro volta, esse vi amano.

Intervento di Mons. MARIO PACIELLO
Vescovo di Gravina di Puglia – Altamura – Acquaviva delle Fonti

Grazie a mons. Buzzi per quello che ci ha comunicato, per la completezza e la chiarezza nel disegnare il profilo di mons. Biraghi!
Certamente tutti abbiamo conosciuto in lui un animo grande, attento ai bisogni della Chiesa universale e alle necessità delle missioni, attento alla formazione dei sacerdoti e delle giovani, destinate ad essere educatrici in famiglia e nella società.

Grazie al carissimo Claudio! E’ un mio amatissimo giovane della Parrocchia dei Santi Guglielmo e Pellegrino. Lì, insieme a tanti altri giovani, abbiamo vissuto delle esperienze bellissime. Lo ringrazio perché, nel suo ruolo di assessore alle politiche scolastiche della città, può essere molto vicino, non soltanto alle Marcelline, ma anche a tutte quelle istituzioni cattoliche che cercano di dare uno spirito e un’anima cristiana a questa città.

Grazie alla prof.ssa Ravviso per i suoi ricordi personali, per tante persone rievocate !

A mons. Buzzi voglio dire grazie perché, presentandoci Mons. Braghi, che la Chiesa riconosce nella sua santità dichiarandolo beato il 30 aprile, ci ha messo, in qualche modo, un po’ in discussione. Davanti a questi luminari del pensiero, a questi maestri di vita, di virtù, di impegno, di zelo, di amore per gli uomini e la loro salvezza, ci sentiamo molto piccoli e anche… responsabili.
Vi confesso che, in occasione della sua beatificazione, sto chiedendo a Mons. Biraghi una grazia: una grazia speciale per Foggia. Egli ha dato vita a un Istituto che è presente in tante parti del mondo; egli ha dato vita ad un Istituto che, alla luce della sua spiritualità, ha fatto germogliare tante ragazze. Esse hanno dato a Foggia le loro energie, la loro intelligenza, il loro cuore, la loro vita, il loro tempo e le loro fatiche. Generazioni e generazioni di ragazze prima, poi anche di ragazzi hanno potuto godere di così viva presenza , di così affettuosa maternità e di così generosa dedizione.

La prof.ssa Ravviso ha detto che, attualmente, le suore Marcelline di Foggia attraversano un momento di difficoltà e io credo che Foggia, in occasione della beatificazione del loro Fondatore, ha la grande responsabilità di prendere coscienza di che cosa, attraverso le suore Marcelline, essa ha ricevuto.

Tutto quello che Mons. Biraghi ha fatto germogliare e nascere a Foggia deve rifiorire. A Foggia si deve verificare una nuova primavera dello spirito marcellino e questo noi speriamo che avvenga perché altre suore più numerose ed una nuova generazione giovane sopraggiungano in questa città.

E’ nata l’associazione delle ex allieve delle Marcelline: ma perché, tra tutte le persone che hanno – perdonate l’immagine! – bevuto al seno della spiritualità delle Marcelline, perché, alcune almeno, non dovrebbero scoprire di essere chiamate a condividerne lo spirito? Non soltanto il ricordo di quello che si è ricevuto, ma anche il desiderio di trasferire lo stesso spirito nel mondo, nella società, nel secolo, vivendo da mogli, vivendo da madri, vivendo da persone impegnate nel mondo sociale, culturale, politico, imprenditoriale, educativo. Perché non potrebbe essere possibile che lo stessissimo spirito che anima ogni suora marcellina possa essere vissuto anche in forma laicale?
Chi sa che da questa condivisione, da questa partecipazione, non spuntino nuovi germogli di vocazioni alla consacrazione; vocazioni che dedichino la propria vita alla missione più bella con cui dare il massimo valore alla propria vita : la missione di formare un uomo, di formare una donna, di educare un cristiano o una cristiana e di aiutarli ad incontrare Cristo. E’ il dono più grande che si possa fare ad una persona; è il gesto di amore impagabile che va molto al di là del singolo particolare servizio, ma che resta per l’eternità. Far incontrare un uomo o una donna con la Verità, con la fonte della Verità, con Cristo stesso!
Proprio questo - perché credono a questa missione - le suore Marcelline hanno voluto realizzare attraverso quanto hanno adempiuto e compiono ancor oggi.
Mons. Biraghi ci faccia questa grande grazia!

Perdonate il tempo che vi ho rubato e grazie per avermi invitato a vivere con voi questo momento.