Giovedì, 2 febbraio 2006

Festa della presentazione del Signore

e

Giornata per la vita consacrata

Cattedrale San Lorenzo - Genova


Durante la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal Card. Arcivescovo Mons. Tarcisio Bertone si è evocata la figura e la santità di Mons. Luigi Biraghi, fondatore delle Suore Marcelline. Come prima lettura è stato letto il profilo di due santi fondatori: Tommaso Reggio e Luigi Biraghi di cui riportiamo di seguito il testo.

1^ Lettura: Luigi Biraghi

Don Luigi Biraghi, che verrà proclamato Beato nel Duomo di Milano il prossimo 30 aprile 2006, è un modello di santità sacerdotale. Non solo con la parola e con gli scritti, ma con l'esempio seppe annunciare la bellezza della verità cristiana e il fascino della sequela di Cristo.
Nato a Vignate (MI) il 2 novembre 1801 e trasferitosi presto a Cernusco sul Naviglio con la famiglia, a 10 anni si senti chiamato al sacerdozio, per cui si forma nei seminari diocesani. Destinato all'insegnamento dopo l'ordinazione sacerdotale, nel 1833 gli fu affidata la direzione spirituale dei chierici nel seminario maggiore di Milano... Mentre si dedicava a questo delicato ufficio, rifletteva sui nuovi orientamenti della società del suo tempo, in evidente contrasto con lo spirito cristiano. Dopo intense e fiduciose preghiere, per contribuire al ritorno a Cristo della famiglia e della società, decise la fondazione di un istituto religioso di educazione femminile che offrisse alle fanciulle borghesi, oltre ad una cultura aggiornata, una formazione solidamente cristiana. Non gli sfuggiva, infatti, la crescente importanza che andava assumendo la borghesia lombarda e prevedeva il suo ruolo determinante nel processo politico dell'unità d'Italia. Alla realizzazione del suo progetto lo conforta la Vergine addolorata da lui invocata nel Santuario di Cernusco e, con la collaborazione della giovane Marina Videmari, diede inizio all’Istituto delle Suore Marcelline. Nei difficili anni che seguirono, don Luigi Biraghi sostenne l'Arcivescovo Romilli, inviso al Governo austriaco, dopo la rivoluzione quarantottesca.
Con i suoi sapienti consigli guida i giovani sacerdoti che si sentivano chiamati all'opera missionaria, collaborando con i fondatori del PIME; Mons. Angelo Ramazzotti, suo amico e don Giuseppe Marinoni, suo figlio spirituale. Esonerato dal suo ufficio in seminario, in seguito all'inquisizione mossa dalla polizia austriaca contro di lui, nel 1855 fu nominato Dottore della Biblioteca Ambrosiana.
Conoscendolo come uomo di pace, Pio IX lo invita a farsi conciliatore tra le opposte correnti di liberali e intransigenti in cui era diviso il clero ambrosiano.
In quegli stessi anni ebbe la gioia del ritrovamento della tomba di S. Ambrogio, nell'omonima basilica, e del continuo sviluppo dell'opera educativa delle Marcelline. Tra le fondazioni da lui volute, va ricordata in particolare la Casa, in Albaro su richiesta dell'Arcivescovo Charvaz di Genova (1868). In questo collegio svolse il suo apostolato la Beata M. Anna Sala.
Tra gli illustri amici di mons. Biraghi a Genova, dove fu pure iscritto all'Accademia teologica di S. Tommaso, un posto di primo piano ebbe il Beato Tommaso Reggio.
Il Biraghi visse con eroica fedeltà il suo impegno sacerdotale nella dimensione di un cristianesimo "cristocentrico-agapico" o nella tensione umile verso la santità.
Morì l’11 agosto 1879. La causa di beatificazione iniziata nel 1966, ebbe il suo epilogo luminoso ne] dicembre del 2005.

Omelia del card. Bertone.

Madre Teresa di Calcutta

La prima enciclica di Papa Benedetto esprime con singolare chiarezza il centro della vita cristiana e il cuore della vita consacrata: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16). Queste parole puntualizzano l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino.

È significativo che il Papa presentando le icone della carità nella storia della Chiesa ricordi in modo speciale i grandi fondatori e fondatrici degli Istituti di vita consacrata: «Figure di Santi come Francesco d'Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de' Paoli, Luisa de Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, Teresa di Calcutta - per fare solo alcuni nomi - rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all'interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (n. 40). Ad essi potremmo aggiungere il beato Tommaso Reggio, genovese, e il futuro beato Luigi Biraghi, lombardo, di cui abbiamo sentito il profilo.

Eros e agape

Nell'inflazione delle parole e nella confusione semantica che intorbida lo splendore del progetto creazionale di Dio, il Papa scandaglia con precisa analisi la natura dell'amore, passando dalle riflessioni filosofiche alla fede biblica, e soffermandosi in particolare sul libro dell'Antico Testamento «il Cantico dei Cantici», tanto frequentemente valorizzato nei riti della professione religiosa.

Nella tensione connaturale tra l'amore mondano e l'amore plasmato dalla fede (tra eros e agape), ovvero tra l'amore possessivo e l'amore oblativo, occorre cercare unità ed equilibrio. «L'uomo non può vivere esclusivamente nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l'uomo può - come ci dice il Signore - diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (cfr Gv 19, 34)» (n. 7).

Come avete già potuto constatare, scorrendo il testo dell'enciclica, o come vedrete quando la leggerete non solo in comunità, ma anche personalmente, potente e suggestivo è l'affresco dipinto dal Papa Benedetto sulle dimensioni dell'amore nella rete degli affetti che pervadono le relazioni divino-umane di ogni persona.

Sostenuto dai tratti incisivi della prima Lettera di Giovanni, accompagnato dalle metafore dense del Cantico dei Cantici e dalla scala di Giacobbe, illuminato da quel grande cantore della carità, quale è Agostino, il Papa disegna il profilo dell'amore, toccandone ogni tasto, ritrovandone la traccia divina nell'amicizia, nel mondo degli affetti familiari e sociali, nella sfera dell'eros, simbolo vivo dell'unione feconda tra uomo e donna, espressione universale della vita generata nel mondo.

L'amore, che si distende nella molteplice ricchezza delle sue manifestazioni, non tollera però alcuna divisione, né innaturali separazioni, portando in sé il marchio della sua origine costitutiva e il segreto della sua unicità. Inefficace sarebbe, secondo il Pontefice, continuare ad alimentare la falsa idea di un dualismo antropologico che, scindendo l'uomo in corpo e spirito, in naturale e soprannaturale, segni di conseguenza il differente esito dell'amore, fatalmente diviso su due piani, quello profano e quello sacro.

Eros da un lato, agape dall'altro non sono due modi opposti o solo indipendenti del darsi dell'amore, ma due dimensioni diverse e collegate perché radicate all'unica fonte, quella rivelata dalla Scrittura, che ci rimanda l'immagine di Dio inventore di tutti gli affetti, rivolto a presentarsi agli uomini come assoluto dispensatore di Bene, attento ai bisogni delle creature, così distante dall'Ente assoluto di tanta metafisica greca, così vicino alla sete di relazioni e di giustizia che sale dalla terra.

Gesù Cristo, amore incarnato di Dio, diventa la cifra illuminante di questo interesse divino e segnale del legame, ormai indissolubile, tra il mondo di Dio e quello dell'uomo.

"I santi - pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta - hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell'amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un «comandamento» dall'esterno che ci impone l'impossibile, bensì di un'esperienza dell'amore donata dall'interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L'amore cresce attraverso l'amore. L'amore è «divino» perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28)" [n. 18].

È sempre l'amore "da" Dio che crea legami e disegna i tratti dell'esercizio della carità da parte della Chiesa, comunità di amore, come recita il titolo della seconda parte dell'Enciclica. Qui Benedetto XVI, richiamando la dottrina sociale della Chiesa, allarga il suo sguardo verso le potenzialità della dimensione pubblica dell'amore, nel tentativo di offrire alcune concrete indicazioni che producano circoli virtuosi tra la giustizia, che è direzione ineliminabile della prassi politica, e l'esercizio della carità, che impegna tutti i credenti attraverso le tante espressioni associative che vivono dentro la Chiesa.

La Rivelazione cristiana, custodita dalla Chiesa e dalla Tradizione, non prevede ambigue commistioni tra l'ambito delle istituzioni dello Stato, governato dalle leggi della politica, e la sfera delle iniziative di solidarietà e di promozione dei valori, che provvede al risveglio delle energie spirituali, senza le quali ogni politica appare esposta alla degenerazione ideologica.

La prima parte dell'Enciclica, dedicata ai tratti essenziali dell'amore cristiano, e la seconda, più pragmatica e rivolta all'esercizio ecclesiale della carità, trovano così un legame profondo nella certezza che solo la preghiera è in grado di alimentare e rafforzare l'esperienza del credente nel suo intimo legame con Dio che vuole amore dalle sue creature e per le sue creature.

«La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un'urgenza del tutto concreta. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell'emergenza e sembra spingere unicamente all'azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. La beata Teresa di Calcutta è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all'efficacia e all'operosità dell'amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l'inesauribile sorgente. Nella sua lettera per la Quaresima del 1996 la beata scriveva ai suoi collaboratori laici: «Noi abbiamo bisogno di questo intimo legame con Dio nella nostra vita quotidiana. E come possiamo ottenerlo? Attraverso la preghiera» (n. 36).

Guardando a Maria

In modo analogo al suo predecessore, anche Benedetto XVI dedica l'ultima parte del suo Messaggio alla Madre di Dio. Non solo poche battute, in verità, ma un intero paragrafo conclusivo, al cui interno vengono ripercorse le tappe dell'esistenza di Maria di Nazareth, sempre contrassegnate dall'attenzione ai bisogni dell'altro, dalla discreta e sofferta partecipazione alle vicende del Figlio, dal sostegno alla nascente comunità cristiana nell'ora di Pentecoste.

Guardando a lei è possibile dire che "solo l'amore è credibile" (von Balthasar); solo l'amore, cioè, è in grado di restituire credibilità a Dio, costituendone la sua "giustificazione": rimettendo l'amore a Dio, l'uomo potrà infine convincersi, secondo il Papa, che amare è essere capaci di praticare la presenza di Dio nel mondo.

Conclusione

In comunione con tutte le Comunità di persone consacrate, maschili e femminili, contemplative e attive nella varietà dei carismi e dei ministeri, concludo rinnovando l'augurio dell'apostolo: «Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come è il nostro amore verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro».